Cominciamo col parlare della tua esperienza giapponese…
Posso dirti che era il mio obbiettivo quello di fare la pornostar in Giappone, perché in gioventù sono rimasta affascinata dalla delicatezza e dalla semplicità che ho visto in alcune attrici porno giapponesi, quando in realtà l’immagine del porno che avevo io era parecchio brutta, cruda.
In Giappone è stata una bella esperienza…a parer mio, il porno in Giappone va a tamponare determinate fantasie che in una società molto dedita al lavoro magari sono irrealizzabili.
Ti eri preparata in qualche modo ad una scelta di vita così radicale o ti sei buttata d’istinto in questa esperienza?
Il Giappone mi ha sempre affascinato a 360°, non è che avessi delle basi a livello linguistico ma la voglia e la predisposizione di approfondire e conoscere la lingua, questo si. Non ho nascosto a nessuno che il mio obbiettivo era quello di inserirmi nel mondo dell’hard, infatti mi avevano avvisata che sarebbe stato poi difficile legalmente trovare un inserimento, però l’ho fatto comunque. E’ stata un’esperienza di vita che mi ha fatto crescere molto.
E che aria si respira allora in un set hard giapponese?
Nei set hard giapponesi ho riscontrato una percezione di totale serietà. C’è la percezione che tu stai lavorando, realizzando un prodotto che dovrà uscire sul mercato in un certo modo. Le attrici le ho trovate molto professionali, seguite da manager effettivi – non accostabili a certe figure che m’è capitato di incontrare qua in Italia. In Giappone esistono degli eventi, delle fiere, che le pornostar fanno ogni volta che esce un loro DVD: sono momenti simpatici dove, oltre alla classica foto, si fanno anche dei giochi a premi…una cosa divertente. Ci sono di locali di spettacoli ma non ci sono nudità, si tratta di costumi, cose succinte.
Sul piano per così dire ‘sociologico’ come viene intesa la pornografia in Giappone?
Credo che alla base della vendita del film porno in Giappone ci sia la percezione da parte del fruitore che quella ragazza nel video sta facendo qualcosa di incredibile, di grande, perché si sta mettendo a disposizione della società per far si che quei desideri non restino repressi. Nella mente delle persone è ben chiaro che, se vedo una scena recitata da una ragazza, lei si sta mettendo al servizio di chi guarda per far sì che quella fantasia erotica venga realizzata, perciò quantomeno un ‘grazie’, un ‘riconoscere il valore e l’utilità’ di quel prodotto ci deve essere.
Di conseguenza, comprare il DVD è il minimo, spendere cioè venti euro per una ragazza che t’ha dato ’tutto’.
In fondo una donna quel momento potrebbe tenerlo per sé, per la propria intimità: il fatto che lo si voglia condividere è un gesto di grande coraggio che, se fatto nel modo giusto, potrebbe essere valorizzato.

Differenze dunque con la concezione del porno e di chi lo fa che si ha qua da noi, in Italia?
La pornografia in Giappone è percepita come un lavoro a tutti gli effetti, che tuttavia non limita la ragazza. In Europa, in Italia, il fare porno ti limita molto perché tu sei quello che fai: lì è ben chiaro che tu puoi essere molte cose, fai porno ma se ne hai le capacità puoi fare anche altro, non c’è limite. Parliamo di una pornostar che può fare anche la cantante, recitare in film normali…chi fa questo percorso si rende conto prima di come funziona la vita, lo fa con i giusti propositi, non solo quello monetario, e quindi ha poi un bagaglio di esperienze che potrebbe aiutare molto, se ben riposto e ben utilizzato, secondo me.
2 anni in Giappone e poi..
Benché fosse il mio sogno stare là, mi sono sentita abbastanza sotto pressione: io ho avuto molta fretta, volevo fare un lavoro del mio sogno, credevo che fosse la mia carriera. In Giappone è comunque difficile l’inserimento nel mondo del lavoro, ancor più nel settore del porno.
Chi decide di fare porno in giovane età ha dietro delle dinamiche psicologiche che vanno oltre la sessualità vera e propria, per cui a parer mio il porno accessibile e fattibile fin dai raggiungimento della maggiore età è rischioso…in Giappone si son visti una ragazza di vent’anni convinta di voler fare la pornostar a casa degli altri…si saranno sicuramente detti: ‘ma perché non lo fa nel suo paese?’ In effetti avrei il diritto di farlo qui in Italia: peccato che, escludendo Spicylab che è una realtà fatta di brave persone, nelle altre esperienze proposte non mi son trovata bene. L’ultima scena l’ho fatta appunto per Spicylab nel Febbraio 2018.
Se comprendo bene, una volta tornata in Europa sei andata incontro ad una sorta di rigetto per quello che hai trovato nel settore, dunque.
Rigetto per il mondo del lavoro in generale: lo sfruttamento è ovunque, tenendo anche conto del fatto che di prostituzione esiste anche quella ‘intellettuale’…mi sono state fatte proposte per delle scene in ambito hard che a mio avviso ho trovato degradanti anche per la coscienza di chi guarda.
Non passa il messaggio che io sto recitando quel ruolo, che mi metto a disposizione delle fantasie erotiche…è come se io ‘fossi’ quello.
Fa male esporre a tutti la propria intimità e vederla calpestata, non solo economicamente ma livello di semplice considerazione, rispetto, umanità.
Sono d’accordo con chi sostiene che la figura della pornostar serva per liberarsi dalla repressione sessuale creata dal pensiero cattolico, però ad un certo punto il confine in cui tu ‘liberi’ tale repressione e la ‘alimenti’ è labile…e quindi inconsciamente finisci magari per alimentare quelle stesse cose che lotti per distruggere.
Ci vuole una buona profondità di pensiero per capire certe verità, ma mettere in moto questa profondità fa male, vuol dire anche scavare dentro se stessi: quando devi fare porno, che già di per sé ha delle dinamiche non facili, e con questo lavoro devi mantenerti non puoi permetterti di pensare approfonditamente. Forse ti ‘comprano’ nel pensiero per cifre che ti bastano appena per sopravvivere…

Prima accennavi al ‘rischio’ insito nel fare hard, un concetto che investe anzitutto la sfera emotiva e psicologica, se ho capito bene…
Se vuoi proseguire in quella strada forse devi scendere a patti con la tua coscienza. Magari se sei una donna di 30 anni che padroneggia certe situazioni questo è molto più fattibile, invece il porno dipinge una sessualità che non è corretta, non mette a contatto con se stessi.
L’hard potrebbe avere una funzione educativa e, con i giusti accorgimenti, potrebbe aiutare a capire il pericolo di certe situazioni. Ad esempio una scena disturbante, se ben percepita come sbagliata, potrebbe far riflettere a tal punto da far capire che quello che fanno le pornostar è un servizio incredibile.
Pensa invece all’ipotesi in cui una ragazza che ha fatto porno un giorno voglia cambiare vita…per come è strutturata la società si troverà un peso sulle spalle infinito, e penserà sempre che la sua strada era quella di distruggersi, non quella di creare.
Dunque se interpreto bene il tuo pensiero è come se esistessero due percorsi, uno distruttivo e un altro costruttivo. Se tu intraprendi quello costruttivo rendi un servizio a te stesso e agli altri, però…
…però c’è una forte spinta verso quello distruttivo, perché chi ti fa lavorare nella maggior parte delle volte ti spinge verso la distruzione e ne guadagna. Il porno è soltanto il riflesso di ‘quello che sta in alto’, di quello che tira le redini del tutto. Non si può continuare a vivere così: i soldi vanno bene, ma non si può continuare a guadagnarli degradando se stessi, questo vale per qualsiasi settore di lavoro che porta al consumo dell’essere umano.
Cosa puoi dirci delle tue future ambizioni?
In futuro vorrei fare l’Università, studiare psicologia e un giorno avere la possibilità di adoperare gli studi ‘della vita’, perché ritengo di stare raccogliendo diverse informazioni per poter poi far sì che tutto il mio percorso non sia stato fine a se stesso, ma che possa essere un aiuto per molte persone.

Un’occupazione diffusa nel mondo hard sono, oggi più che mai, le cam, che stanno (impropriamente) sostituendo in molti casi l’attività degli spettacoli. Tu ne hai familiarità?
Io ho fatto le cam perché avevo in mente di andare a fare la pornostar in Giappone, per cui il primo approccio più sicuro con la sessualità pubblica poteva essere appunto quello delle cam. Però onestamente passi troppo tempo davanti ad uno schermo, le persone ti prendono abbastanza in giro…poi certo, se hai un nome magari instauri anche un certo tipo di rapporto con le persone, ma altrimenti c’è un sacco di gente che perde tempo e non ha rispetto per te che sei lì a lavorare.
Quale effetto hanno avuto le tue scelte nel rapporto con la tua famiglia?
Con la massima apertura, sono stata io a far capire che, se mi volevano bene, era giusto me ne volessero come persona, al di là di quello che faccio: questo vale per mia mamma con cui al di là degli scontri son finalmente riuscita ad avere un rapporto di affetto. Io ho semplicemente seguito un percorso che per me era già scritto, che mi ha portato ad essere quella che sono oggi e a fare determinate esperienze che mi hanno fatta crescere ed evolvere. L’ho fatto con la massima gioia e positività, questo avrebbe dovuto far riflettere molte persone, invece non è stato così.
Anni fa scrivevi un tuo blog, coi social invece che rapporto hai?
Li ho usati in modo un po’ emblematico i social…Twitter l’ho usato per lo più in Giapponese ed è molti anni che ce l’ho. Non sento comunque l’esigenza di esprimermi via social perché sono in un momento di conoscenza interiore, personale. E’ un percorso…chissà, probabilmente riprenderò in futuro.

I film hard giapponesi di Victoria Yuki