La Pornografia è Noiosa

E’ da un pezzo che ho intenzione di scrivere di Pier Paolo Pasolini e della sua concezione di ‘pornografia’. Primo, perché l’opera dello scrittore e intellettuale (nonché regista) friulano ha generato, a partire dal suo debutto letterario, un autentico scossone nella morale italiana tutta, arrivando a mettere in discussione, mediante opere artistiche, dogmi sociali in via di progressivo sgretolamento. Secondo, perché, dal punto di vista squisitamente visivo ed estetico, è indubbia in Pasolini la volontà di ‘forzare’ le inibizioni del lettore/spettatore, spingendolo a ragionare su un ‘oltre’ a cui fino a quel momento alcuni artisti – parliamo di italiani – avevano solo, timidamente, accennato.
Pasolini è artista – e quindi regista – ‘scandaloso’ perché è attraverso lo scandalo visivo che mette in luce personaggi liberi, amorali, fuori dalla Storia e per questo mai giudicabili secondo parametri borghesi. In questo ambito non possiamo dunque esimerci dal diritto/dovere di chiederci che ruolo occupi il concetto di ‘pornografia’ nel suo mondo ideale: una pornografia da intendersi non tanto e non solo nella sua accezione specificamente sessuale quanto in quella, più vasta e ’sociologica’, di una nudità fisica ed emotiva da affrontare come esperienza visiva inedita, destabilizzante, scioccante. In una parola, libera.
Tutto questo è implicito a partire dalle prime opere da regista, e va via via palesandosi in modo sempre più (pre)potente col procedere dei testi/film, arrivando a farsi sostanza morale nell’ultimo scorcio degli anni ’60 in quei ’Teorema’ e ‘Porcile’ in cui un’idea di ’sessualità’ inconsueta e difficilmente inquadrabile nell’ottica rassicurante del ‘boom’ economico è chiamata in causa in maniera chiara, diretta e ‘limpida’ per chi avesse occhi per vedere e mente per ragionare.
Ma da bravo soggetto pensante e irrefrenabile qual’è stato, Pasolini non poteva fermarsi lì. Ecco allora che la sessualità si scinde da sovrastrutture concettuali e tentativi intellettualizzanti nella ’Trilogia della Vita’, per darsi, appunto, come puro impulso, nient’altro che atto gioioso e gaudente. Nei vari ‘Decameron’, ‘Il Fiore delle Mille e una Notte’ e ‘I Racconti di Canterbury’ il sesso non si nasconde più, in quanto il regista decide di ’spogliarlo’ di formalismi per restituirlo sullo schermo come puro contenuto.
Alcuni studiosi hanno parlato – non a questo specifico proposito – di ‘pornografia felice’ in quanto celebrazione dell’istinto da parte di personaggi volutamente semplici, carnali e lontanissimi dalla gabbia piccolo borghese che già allora – primi anni 70 – Pasolini intuiva essere la vera prigione storica in cui il pensiero dell’Italia stava per essere ingabbiato. E convengo che definire questi film esempi di una pornografia ‘felice’ (sempre e comunque molto letteraria) sia etichetta calzante.
Fermiamoci un attimo qua dunque, anzi facciamo un passo indietro al 7 Giugno 1969, data in cui fu pubblicato ne ‘Il Tempo’ un lungo pezzo in cui Pasolini parla esplicitamente di pornografia senza girarci tanto intorno. Cinema pornografico, per capirci, operando tramite concetti controversi e discutibili un’assoluzione ‘morale’ del porno a scapito dei censori (quei censori che tanto duramente si erano adoperati per boicottare ogni sua opera letteraria e cinematografica, del resto) e infliggendo allo stesso tempo una condanna ‘formale’ ed ‘estetica’ al cinema porno tutto.
Riporto di seguito il testo, interrotto nei passi che credo meritino piccoli (ed umili) appunti da parte del sottoscritto per argomentare intorno ad un concetto che resta a mio avviso attualissimo, seppure per pochi. Scrive dunque Pasolini in quest’articolo, intitolato in maniera eloquente ‘La Pornografia è Noiosa’:

Nella mia rubrica sul numero 20 di “Tempo”, ho scritto pressappoco questo: “se degli uomini adulti decidono di fare dei film pornografici, e degli altri uomini adulti decidono di andarli a vedere, dei terzi uomini adulti compiono un’azione antidemocratica, ipocrita e moralistica se intervengono: un’azione moralmente vile”. Vorrei fare i seguenti chiarimenti:

1) In attesa che il codice fascista sia rifatto (e non solo emendato o accomodato o ipocritamente riadattato), gli unici uomini adulti che possono, ora, intervenire in questo commercio tra chi produce film pornografici e chi li consuma, sono i magistrati. Gli altri che lo fanno si riempiono di ridicolo per il solo fatto che si eleggono a protettori della “morale” di altri adulti, padroni di se stessi (…) che hanno ora il pieno diritto di fare da soli le proprie scelte.

2) I produttori di film se non pornografici, quasi (i cosiddetti film “sexy”: parola che uso qui con orrore, tanto mi sembra volgare), guadagnano molto: questo significa che ci sono milioni di spettatori che pagano il biglietto per andare a vedere quei bei prodotti: questo significa ancora che la realtà italiana è composta anche di questo fenomeno: milioni di italiani amano la pornografia. Dovremmo forse meravigliarcene? La cultura della “nazione italiana” non è una sottocultura? E allora, poiché questo fa parte della realtà, perché nasconderlo o, quel che è peggio, cercare delle soluzioni repressive? Negli anni cinquanta non è esploso il problema degli stracci e dei poveri che abitavano nei tuguri? Ed è stata forse una soluzione quella dell’allora ministro Andreotti che ha impedito di mostrare questa realtà nei film? Povertà e pornografia: la prima una piaga popolare, la seconda una piaga piccolo-borghese: l’Italia è sempre tanto ben educata e discreta da non voler esibire le sue piaghe? Non mostrando i poveri che vivono nelle baracche; i poveri hanno forse cessato di vivere nelle baracche? Impedendo agli amanti della pornografia di vedere film pornografìci, gli amanti della pornografia cessano di essere tali? Il principio di autorità non deve mai valere neanche per impedire i film pornografici.

Questo secondo passaggio mi pare straordinario nella sua audacia. Di seguito i punti a mio avviso meritevoli:
– Per prima cosa, curiosa e ‘futurista’ l’accezione ‘orrorifica’ del termine ‘film sexy’ – siamo ancora nel 1969, non dimentichiamolo: ancora non c’erano i filmetti delle ‘professoresse’, ‘supplenti’ e con protagonisti decerebrati che guardavano nei buchi delle serrature. Dunque chissà a quali titoli, nello specifico, era rivolta l’invettiva dello scrittore: non ne sono a conoscenza e ahimè temo non lo sapremo mai…
– Abbiamo poi una metafora ’eretica’ che potremmo riassumere così: ‘l’esibizione ‘nuda’ al mondo intero della miseria dell’Italia post bellica tramite il supporto cinematografico ha la medesima natura ‘pornografica’ dell’attuale cinema ‘a luci rosse’. Per cui, laddove la censura non ha funzionato col neorealismo, così non può funzionare nel film porno propriamente detto. Si tratta di un concetto oggettivamente suggestivo: il semplice accostamento semantico del cinema neorealista che, mostrando impietosamente il ‘corpo’ di un’Italia spogliata di dignità, si erge a ‘occhio impietoso e documentaristico della povertà come piaga popolare’ con l’opera dei pornografi che, decenni dopo, questo nudo lo perpetuano con mezzi e scopi di tutt’altra natura è operazione letteraria estrema, che solo la vis polemica di Pasolini poteva imbastire.
– Su questo punto mi pare il caso di puntualizzare anche il mutamento di contesto che lo scrittore sottolinea: quella, la ‘pornografia della povertà’, era un ‘j’accuse’ fatto di indignazione civile, quindi piaga tutta ‘popolare’ come già detto. Questa, la ‘pornografia del sesso filmato’, è puro sollazzo della carne, e, benché assolutamente non censurabile, rimane pur sempre una piaga: non più popolare ma piccolo borghese stavolta. Con quest’ultima affermazione Pasolini cade, non so se volontariamente, in un implicito giudizio morale negativo nei riguardi del consumatore/spettatore di pornografia: egli altri non è che ‘vittima’ di questa piaga, non più baraccato, non più affamato di pane, ma di una sessualità che – come leggeremo nel prossimo paragrafo – è esteticamente e contenutisticamente brutta e noiosa a parere dello scrittore.

3) I film pornografici sono esteticamente brutti, anzi, orribili. Secondo me, anche molto noiosi (ne ho visto uno solo, e sono uscito a metà: per la sua bruttezza estetica e appunto la sua incredibile capacità di annoiare). Ma non sono tuttavia più esteticamente brutti e noiosi di almeno metà della produzione commerciale.

4) Potrei dire che, in quanto autore di film, niente è più pericoloso per me dei film pornografici: essi causano infatti una reazione della censura, la quale cerca dei capri espiatori che siano esemplari: ottenendo così due risultati con una sola azione: colpire i film ideologicamente e politicamente avanzati, e insieme – essendo essi, per intima coerenza col loro spirito, spregiudicati e liberi anche nel campo sessuale – punisce esemplarmente tale spregiudicatezza e libertà. In quanto autore, per es., di “Teorema” dovrei essere il primo a scagliarmi contro i film semi-pornografici che ne giustificano in qualche modo la persecuzione.

Eccoci dunque alle ‘dolenti note’, ovvero: laddove Pasolini si scaglia contro la censura in quanto apparato oggettivamente inutile ed anzi dannoso perché fisiologicamente incapace di distinguere ‘cosa è porno da cosa non lo è’, delineando la figura del censore come di un individuo incapace di riconoscere (ed eventualmente apprezzare) un ‘bello’ cinematografico – per quanto soggettivo questo concetto possa essere, oggi come allora – arriva la stroncatura anche per la produzione pornografica vera e propria, che – ulteriore paradosso – non è comunque ‘qualitativamente’ peggiore della produzione commerciale.
Quest’ultima valutazione è molto importante, perché racchiude a mio avviso l’intimo significato attribuito da Pasolini alla ’sua’ spregiudicatezza cinematografica, e quindi – direi – alla ’sua’ pornografia: un qualcosa di assolutamente ’non commerciale’, quindi ’non esibito gratuitamente’ ma piuttosto funzionale ad un contesto storico/sociale: non è casuale infatti il riferimento al recente ’Teorema’.
Questa mia conclusione, personale va detto, la trovo rafforzata anche nella produzione a venire del poeta/scrittore: la già citata ’Trilogia della Vita’ e l’ancor più controversa – e incompiuta – ’Trilogia della Morte’, inaugurata da quel ’Salò’ in cui l’elemento ’sesso’ diventa esplicito strumento di sopraffazione fisica e ideologica.

5) In conclusione: io non riesco a pronunciare delle condanne se non estetiche contro i film pornografici, e non posso che pronunciare sui loro consumatori un giudizio severo, ma con carità (cioè comprensione oggettiva della storicità della depressione culturale che li spinge a tale consumo). Quelli che condanno sono coloro che: a) non sono capaci di distinguere un film pornografico da un film d’arte; b) fingono di non essere capaci di distinguere un film pornografico da un film d’arte. Costoro vivono e operano allo stesso livello dei facitori e dei consumatori di film pornografici. Infatti la loro stupidità, la loro ignoranza, la loro mancanza di buon gusto, la loro insensibilità, oppure la loro malafede e il loro calcolo politico meschino, hanno la stessa volgarità dei produttori di film pornografìci e dei loro consumatori: essendo ambedue prodotti di una stessa sottocultura e, nella fattispecie, della stessa incapacità di giudicare esteticamente, cioè disinteressatamente.

A conclusione del suo articolo, Pasolini tocca alcuni punti da me già anticipati in precedenza sui quali dunque non mi soffermerò oltremodo. Resta però, suggestiva e stimolante, la condanna ‘estetica’ di una pornografia che per lo scrittore in quel 1969 era già da considerarsi come ‘genere cinematografico’ a tutti gli effetti: egli infatti condanna questa categoria filmica come ‘risultato della depressione culturale’, pronunciando l’epitaffio di una cinematografia che da noi, in Italia, doveva praticamente ancora cominciare. Dunque è lecito chiedersi: a quale forma di pornografia si sta riferendo l’autore? Ancora una volta, quali i titoli, quali le pellicole in oggetto?
Potremmo lecitamente riflettere sull’intendimento da dare al termine ‘pornografia’ in un 1969: il significato semantico e concreto di un ‘film pornografico’ di cinquant’anni fa non può che essere del tutto diverso da quello che se ne dà oggi, chiaro. Pur tuttavia Pasolini ci fa capire che…’aveva capito’: non a caso cita, come abbiamo letto, film ‘sexy, se non pornografici’. Nessun inganno, dunque: lo scrittore sta parlando di sesso filmato, più o meno esplicitamente.
Al termine di questo excursus mi permetto di scrivere che l’opera e le idee di un Pensatore non possono che evolversi – o involversi che dir si voglia – col passare del tempo e delle esperienze artistiche e personali. In questo Pasolini non farà eccezione, non nei suoi scritti e neppure nei film che seguiranno le parole dell’articolo che ho voluto ricordare in questo pezzo. Pasolini non è mai stato replicante di se stesso, questa a mio avviso la sua più grande eredità intellettuale. Un concetto che riprenderò in un articolo futuro.