Intervista a Gea Domina

Gea, leggendo il profilo presente nel tuo sito emerge una forte passione per la psicologia, materia che hai studiato e che utilizzi come strumento per esercitare il tuo ruolo di mistress. Per come la vedo io, una sessione è anche (e forse soprattutto) un viaggio nell’animo umano, per cui ritengo che questo tuo approccio sia ‘la base’ su cui poi tu costruisci lo sviluppo della sessione stessa, intendendo la nozione di ‘sviluppo’ sia in senso fisico che mentale. Cosa puoi dirmi in proposito, ovvero come lo studio della psicologia entra nell’ambito di un rapporto BDSM?
Sono sempre stata molto appassionata alle dinamiche della mente umana. Le mie letture preferite sono i saggi di psicologia, grazie ai quali ho conosciuto diverse tecniche e correnti psicologiche applicabili anche in campo BDSM. Questa passione mi permette di tenermi costantemente aggiornata e, parallelamente alla messa in pratica durante le sessioni, di sviluppare tecniche sempre più personalizzate.
All’inizio del mio “percorso BDSM” non avevo capito quanto utilizzare un metodo psicologico potesse incidere sulle persone, fino a quando ho iniziato, un po’ per gioco e un po’ per capire se effettivamente poteva funzionare, un discorso più terapeutico che un gioco fine a se stesso.

Posso dirti che l’approccio che utilizzo costantemente, per via del forte riscontro positivo, è quello dell’Analisi Transazionale. Si tratta di un metodo che lavora sulle transazioni tra le parti interiorizzate da ciascuno di noi e che si distinguono in bambino-adulto-genitore.
Ho capito che quello che cerca ogni slave è la possibilità di mettersi nelle mani di una persona esperta e cederle completamente le redini: si tratta di dare sfogo alla propria parte emotiva, oppure semplicemente scoprirla, vederla senza giudizio ma con una guida.
Per far questo utilizzo sempre la transazione mentale “adulto-adulto” e “genitore-bambino”. Ovvero parlo al “bambino interno” quindi alla parte emotiva del sessionista, cercando anche di capire, con un minimo di anamnesi, come spostarmi dall’adulto al genitore pretendendo continuamente che la risposta mi sia data dal suo ‘bambino interiore’. A volte è molto semplice, altre volte invece è davvero complicato riuscire ad effettuare questa transazione, perché il sessionista solitamente è una persona che ha sempre il pieno controllo sulla sua vita e anche in sessione fatica a perderlo. Nonostante la difficoltà è sempre una piacevolissima sfida.

L’unica transazione non permessa in sessione è quella del suo genitore con il mio bambino interno. A volte può capitare anche “bambino-bambino” e “adulto-adulto” ma principalmente con i masochisti.
Partendo da questo poi ci sono tantissimi punti su cui lavorare, come la creazione dell’identità. Ognuno di noi ha diverse identità, che sia lavorativa, casalinga, familiare e via dicendo. Io vado a lavorare sullo sviluppo di un’identità legata al riconoscimento di una parte di sé, andando a creare un “mondo” a due.
Vedendo riconosciuta tale identità, la persona si sente più sicura di sé anche al di fuori della sessione, e il tutto è condito da una continua scoperta di piaceri reciproci.

Infine ci sono le due caratteristiche che secondo me devono essere sempre presenti, ovvero: il dominante per essere un buon dominante deve essere una persona molto generosa, mentre lo slave deve essere una persona molto coraggiosa e non viceversa, come si è soliti a pensare.

In questo contesto, immagino che anche la preferenza che esprimi per i giochi di ruolo sia espressione pratica dell’importanza che attribuisci all’aspetto mentale. Anche per prestarsi a tali giochi è necessaria da parte tua una estrema versatilità psicologica, in quanto ogni slave è un mondo a sé. Come riesci a calarti nelle varie situazioni risultando credibile agli occhi dello slave, esistono delle pratiche di ‘concentrazione’ e focalizzazione della propria identità su un personaggio ‘dominante’ oppure è tutto un discorso di pratica?
Fortunatamente ho studiato molto anche come attrice e ho capito cosa significa ‘essere’ il personaggio e non recitarlo.
I miei ‘personaggi’, se così vogliamo chiamarli, sono parte di me e li ho costruiti io: ognuno è un’identità creata per soddisfare delle esigenze che non potrebbero essere sublimate al di fuori (in modo sano e consensuale). Non ho un copione specifico, quando faccio la dottoressa, io sono la dottoressa, agisco da dottoressa e sopratutto penso da dottoressa, mi diverto da dottoressa. Chiaramente anche interpretando un personaggio, tengo conto del lavoro terapeutico che è la base del mio approccio.
Quando propongo un gioco di ruolo guardo le caratteristiche dell’altro e cerco di capire in quale ruolo potrei divertirmi di più, oppure, scelgo a seconda della giornata e di come mi sento, o ancora, se mi viene proposto un gioco sono la prima ad accettarlo per mettermi alla prova e sperimentare nuovi personaggi.

Quello che ancora molte Mistress non hanno capito è che se noi ci divertiamo (e bisogna imparare a divertirsi, ascoltandosi e togliendo il giudizio interno) anche l’altra persona si diverte e quindi mi muovo su quello che può essere il mio divertimento.
I personaggi sono tutti dominanti e sono stati costruiti come una sorta di ‘rivalsa’ su quello che si subisce nel corso della propria esistenza. Quindi, per fare un esempio, ci sarà il capo delle risorse umane che avrà una postura e delle frasi che io ho riconosciuto come umilianti e le applico per umiliare. Per far bene ogni personaggio bisogna essere il personaggio, l’altra persona non ha scelta se non quella di calarsi nel suo personaggio e rispondere da quello.

Facciamo un passo indietro. Questo tuo percorso come lo hai cominciato e qual’è stato l’iter di ‘apprendistato’ che ti ha portato poi a proporti ’sul campo’ con l’autorevolezza del caso?
Sono sempre stata una persona molto dominate, coraggiosa, curiosa e indipendente. Sono arrivata per puro caso all’interno di un dungeon (6 anni fa) con un ragazzo piuttosto eccentrico con cui mi frequentavo. Sono rimasta così affascinata da tutto quell’arredo, per me all’epoca stranissimo, e ho fatto di tutto per scambiare due parole con il proprietario, il quale mi ha presentato a sua moglie che faceva la Mistress (non sapevo neanche cosa significasse il termine Mistress) e che ha accettato di prendermi per due anni sotto la sua supervisione. Una persona a cui devo davvero tanto perchè mi ha fatto entrare in questo mondo insegnandomi tutti i termini e le pratiche BDSM, attraverso 2/3 sessioni giornaliere con altri slave (quindi direttamente sul campo, buona la prima). Lei aveva bisogno di una persona che facesse tutta la parte pratica (per un disturbo ossessivo compulsivo da contatto che peggiorava ogni giorno), lasciandole modo di occuparsi della “regia”.
Una situazione a dir poco da film ma che mi ha lasciato un ricordo bellissimo.
Finiti i due anni lei ha deciso di ‘smettere’, nel frattempo avevo avviato una start up che non aveva nulla a che fare con il BDSM. Trascorsi sei mesi ho iniziato a sentire una forte mancanza per questo mondo, così ho deciso di tornare sul campo e tutt’ora dedico a questa passione almeno un’ora al giorno.

Slave mentali, slave masochisti: qual’è la categoria più impegnativa per una mistress, in quali casi cioè agisci ‘di mestiere’ e in quali ti trovi di fronte a persone più complesse con cui entrare in simbiosi?
Ogni persona è molto complessa, non esistono ‘persone semplici’.
Esistono masochisti che non sono slave, slave con tendenze masochiste, masochisti dominanti o slave non masochisti ed ognuno di loro può cambiare a seconda di chi si trova davanti. Quindi una persona può diventare slave presentandosi da masochista e viceversa. Può capitare che per un mese un sessionista abbia voglia di prendere un percorso masochista e il mese dopo da slave.
Posso dirti che è molto diverso il mio approccio tra masochista e slave ‘puri’: con un masochista tendo a creare maggiormente un rapporto quasi di amicizia e di fiducia totale (quindi, riprendendo il discorso precedente, anche una transazione “bambino-bambino”) dove si gioca e dove tiro fuori tutta la mia parte sadica, ed è proprio lui a darmi il coraggio nel farlo attraverso la sua accettazione del dolore.
Diciamo che presto maggiore attenzione all’empatia e la comunicazione non verbale: osservo molto la dilatazione delle pupille e il respiro, quindi mi sposto sul ‘sentire l’altro’ come se fossi io. Trasformo il suo dolore in mia adrenalina, mentre con lo slave mentale utilizzo molto di più la mia parte razionale, intuitiva, logica e di manipolazione mentale, quindi rimango più distaccata in una posizione di superiorità intellettuale. In poche parole per il masochista utilizzo la parte emotiva, per lo slave quella razionale. Poi, come dicevo prima, ci sono le sfaccettature che sono infinite.

Immagino tu debba svolgere un’attività preventiva di selezione a fronte delle richieste che ti arrivano, onde saggiare la concreta motivazione del ‘candidato’. Qual’è il metodo che segui abitualmente per sincerarti sulla validità di chi ti si è proposto per email, ad esempio? Avvengono cioè colloqui telefonici o che altro?
Diciamo che ricevendo diverse richieste ho la possibilità di scartare subito se c’è una virgola fuori posto. Principalmente chiedo che mi venga inoltrata una mail con una buona presentazione, quindi no sms e no subito telefonate. Leggo la mail, se è scritta in modo corretto e corrisponde, o può corrispondere, al mio ‘ideale’, quindi una persona a cui posso dare e può darmi qualcosa di nuovo, rispondo. Spesso faccio aspettare la risposta diversi giorni per vedere se la persona ha problemi di ossessività o se è veramente convinto di fare una sessione con me. Questo mi permette di di capire anche se c’è impegno, requisito fondamentale per iniziare un percorso. Faccio delle domande e metto subito in chiaro cosa faccio e chi sono. Se alla persona va bene, ci si scambiano ancora 2/3 mail al massimo e si passa con il fissare una sessione. Poi avviene la prova del nove, ovvero il contatto telefonico per definire meglio il tutto: se ci si piace, allora va bene.

C’è da dire che preferisco sempre una comunicazione adulto-adulto, poi avremo tempo in sessione di calarci nei rispettivi ruoli. Se una persona si presenta telefonicamente come un super sottomesso è scartato, penso subito: “Come fai a sottometterti già quando non mi conosci neanche?”. La comunicazione bambino-adulto al di fuori delle sessioni non va bene, non si possono prendere accordi con i bambini.

Mi piacciono i percorsi di superamento limiti’, ho letto questa frase nella tua presentazione: puoi farmi un esempio o comunque chiarirmi ulteriormente il concetto?
La società ci insegna che dobbiamo riconoscerci come individui dai contorni fissi, solidi e contrariamente da ciò che si pensa anche molte delle persone che si affacciano al BDSM hanno queste convinzioni, pur avendo scoperto degli spazi che per tante persone sono inesistenti. Io intendo il superamento dei limiti come la possibilità di far capire e riconoscere allo slave il fatto che questi contorni non sono rigidi ma fluidi, per cui non cancellano il contenuto della propria individualità ma vanno solo ad estenderla. Si può trattare semplicemente di scoprire una pratica nuova, superare una soglia del dolore e scoprirsi appagati in una diversa situazione. Per fare questo serve un rapporto di fiducia perchè lo slave non si senta giudicato, e perché lui stesso non sia il primo ad autogiudicarsi e a chiudersi di fronte a queste possibilità. Da parte mia è molto appagante riuscire in questo. Inoltre io stessa cerco costantemente di superare i miei limiti, anche quelli che non conosco. Tutti abbiamo delle parti di noi che poste davanti al limite sembrano sciocche, per mancanza di conoscenza o timore, sono gli input esterni che possono aiutarci a conoscerle e renderle per noi comprensibili e accettabili.
Prendiamo il caso dell’atleta e dell’allenatore, in senso metaforico è la stessa cosa. L’atleta non riesce a vedere il proprio potenziale, spetta all’allenatore, che ripone fiducia nel suo allievo, la capacità di riconoscerlo e farlo emergere.

Esiste per una mistress la possibilità di essere ‘mentalmente flessibile’ rivelandosi come slave? In altre parole: tu sei una mistress dotata della deontologia del caso, ma per mettere alla prova la validità e l’efficacia del tuo metodo potrebbe capitarti – o ti è capitato – di sottoporti come ‘slave’ a sessioni comandate da altre mistress? (un po’ lo stesso principio dell’analisi freudiana reciproca fra psicoanalisti…)
Durante il mio percorso iniziale ho avuto delle esperienze da ‘slave’ su mia richiesta, proprio con la Mistress che mi ha insegnato. In parte era anche per capire da che cosa traevo più soddisfazione. Mi ha fatto provare tantissime pratiche, le stesse che poi io avrei fatto subire ad altri. E’ stato impegnativo ma mi è servito tantissimo, senza quelle esperienze non sarei mai riuscita a capire la maggior parte delle pratiche, comprese le diverse reazioni che possono scaturire da queste.
Devo dire che quando mi mettevo nelle mani della Mistress provavo tantissima paura che domavo con il coraggio (una volta sono anche svenuta) e riallacciandoci al discorso dei personaggi, ora mi piace molto farla provare ad altri e so come farlo.

Nell’ambito di una serie di sessioni quanto e come interviene il ‘fattore denaro’ ad alterare gli equilibri di ‘chi fornisce il servizio’ e ‘chi lo richiede’? Esiste il pericolo che, alla fin fine, lo slave conduca implicitamente la sessione condizionando la mistress con le sue richieste, in quanto soggetto pagante?
C’è da dire che in sessione chi mette i limiti è sempre lo slave, quindi il soggetto pagante.
Un po’ come entrare al ristorante: il cliente ordina il piatto ma sono io a prepararlo come meglio credo. Poi può capitare il caso del cliente celiaco e allora è necessario rispettare un accordo, cucinerò sempre io ma gli assicuro che la sua pasta sarà senza glutine.
Inoltre il mio ristorante ha ‘pochi coperti’, il cliente si propone e sono io che decido se farlo entrare o lasciarlo fuori, al di là del fatto che possa avere i soldi per pagare il conto. Per intenderci, poniamo che io abbia deciso che il mio è un ristorante dove si serve solo carne, non farò entrare chi mangia solo pesce.
Non mi sento condizionata dai limiti dello slave. Se alcune cose non mi piacciono, o so che possono non piacermi, non faccio la sessione. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, so di avere uno spazio in cui giocare, può essere molto grande o anche molto specifico, ma a gestirlo e prendermene cura sono sempre io. A mio parere le pratiche sono solo un contorno di quello che è il mondo BDSM.

Il BDSM e il ‘mondo mistress’ sono universi che, visti dall’esterno, risultano vittime di svariati luoghi comuni, molti errati e frutto di pura ignoranza alimentata dall’immagine che ne viene data dai media. Tra questi luoghi comuni, quali ti danno maggior fastidio e ti preme di sfatare, rendendo così giustizia e verità al tuo settore?
Il luogo comune che mi infastidisce maggiormente è quello che si pensi al BDSM come un qualcosa di superficiale, dove navigano dei malati mentali e delle persone che se ne approfittano. Le persone al di fuori pensano che il BDSM sia pagare qualcuno per farsi picchiare selvaggiamente. C’è molto, molto, molto di più. La questione è molto più sofisticata, ci vuole davvero una vasta cultura (che non si trova sulle enciclopedie) e consapevolezza per praticarlo. insomma, non è una cosa semplice ed è tutt’altro che superficiale!
Oltretutto credo che sia uno degli ambienti in cui ho conosciuto più persone sane mentalmente ed equilibrate che in qualsiasi altro settore. La domanda che mi fanno più spesso è: “Che gente viene da te? Non hai paura?”
Chi pratica BDSM è il figlio, il genitore, la madre, il panettiere sotto casa, l’idraulico e il vicino di casa: può essere chiunque. La maggior parte delle persone non ha ancora compreso che la negazione di un istinto innocuo porta inevitabilmente alla frustrazione e quindi alla violenza, solo l’incapacità di comunicare è riconducibile alla follia e non il comunicare attraverso il BDSM.

Per finire, tra le persone che ti contattano ci sono anche donne o il mondo slave è, almeno per quanto ti riguarda, prettamente maschile? Quali riflessioni possiamo fare a questo proposito?
È molto più facile che da me vengano slave uomini, ma ho avuto la possibilità di avere a che fare anche con donne slave, solitamente etero.
Le riflessioni che possiamo fare a questo proposito non penso possano essere riassunte in poche righe. Per condividere qui degli spunti interessanti sarebbe necessario aprire una parentesi, probabilmente in forma di trattato, a partire dal discorso sulla cultura di genere e quanto questa possa incidere sulle scelte personali, sulle abitudini e sulla percezione di sé. Andando per sintesi le risposte non potrebbero che essere banali, è un argomento interessante ma dovrebbe essere posizionato in un’altra intervista.

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